Guerra in Terra Santa, gli Usa non riescono ancora a fermare Israele

L’astensione degli Stati Uniti sulla risoluzione che chiede il cessate il fuoco su Gaza assieme alla liberazione degli ostaggi rappresenta un evento importante sul piano internazionale. Ma non si arresta il flusso di armi verso le forze armate israeliane.
Gaza, la distruzione nei pressi dell'ospedale Al-Shifa. Foto Ansa, Epa/MOHAMED HAJJAR.

Washington ha rinunciato ad esercitare il cosiddetto diritto di veto all’Onu, di fatto consentendo che il Consiglio di sicurezza, dopo ben sei mesi dall’inizio del conflitto in Terra Santa, esprimesse una risoluzione per una tregua immediata, la liberazione degli ostaggi e l’accesso degli aiuti umanitari per la popolazione palestinese.

Risoluzione dal contenuto apparentemente minimale, ma che rappresenta un evento importante nella politica internazionale: gli Stati Uniti non si schierano più totalmente dalla parte d’Israele, il cui governo non per caso ha reagito duramente, abituato all’idea che Washington fosse sempre un partner, senza sé e senza ma. Oltre 32 mila morti dall’inizio del conflitto, per tre quarti civili, hanno eroso il sostegno internazionale verso Tel Aviv non solo da parte di tanti Paesi, ma anche da parte della Casa Bianca, tradizionalmente suo alleato e, tra l’altro, suo principale fornitore di armi e munizioni (ben il 69% di esse proviene nell’ultimo quinquennio dalle industrie nordamericane).

L’irrigidimento della Casa Bianca nei confronti di Israele è un fatto inedito che, forse, peserà nell’evoluzione di questa crisi. Questo potrebbe rappresentare un elemento positivo, il cosiddetto bicchiere mezzo pieno. Ma che è al contempo mezzo vuoto.

L’azione militare d’Israele condotta contro Gaza, che secondo la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati Francesca Albanese si configura come genocidio, sta mettendo sempre più in difficoltà il governo statunitense, in particolare il suo presidente Biden, che a breve dovrà affrontare le elezioni e nell’ambito dell’elettorato democratico i malumori per quello che sta avvenendo a Gaza non sono trascurabili.

La linea politica sinora seguita dalla Casa Bianca di appoggio pubblico e di pressioni private non ha modificato la condotta del governo di Benjamin Netanyahu, intenzionato a proseguire l’azione intrapresa.

Biden, quindi, ora rischia di trovarsi con un quadro di relazioni internazionali in continuo peggioramento: in Europa la guerra in Ucraina appare irrisolta, ma con una Russia che sta guadagnando terreno; in Medio Oriente la crisi di Gaza si è già allargata al Mar Rosso e sta lambendo Siria e Libano, mentre la Cina, che apparentemente osserva da lontano queste vicende, si fa invece più assertiva nell’area, non solo con Taiwan, ma anche con gli altri Paesi del quadrante asiatico, nell’ambito della sfida geopolitica con Washington.

Internamente, l’opposizione populista di Trump che, come è noto, ha ampio sostegno nell’elettorato repubblicano, è una spina nel fianco del presidente democratico, anche se, al di là delle roboanti dichiarazioni sulle sue capacità di mettere fine alla guerra in Ucraina e delle ambigue affermazioni sul conflitto di Gaza (avvenuto anch’esso per colpa di Biden, secondo lui), l’ex presidente statunitense non spiega mai quale sarebbe la sua azione risolutiva e come si muoverebbe.

Se l’astensione degli USA alla risoluzione ONU, come dicevamo, appare un elemento nuovo e forse positivo, rimane il fatto che Washington, con le sue forniture di armi e munizioni, continua a sostenere l’azione militare delle IDF (le forze armate dello Stato di Israele, ndr), con tutte le drammatiche vicende che conosciamo.

Lo stesso che ha fatto e sta facendo il governo italiano, prima dicendo che non si fornivano più armi dal 7 ottobre, poi che si consegnavano solo quelle già contrattualizzate e non di nuove, in un balletto di affermazioni e di negazioni ancora in corso, mentre la legge 185/90 ancora vigente vieterebbe tali vendite a Paesi in guerra e che non rispettano i diritti umani. Il nostro governo però sta preparandosi a smantellarla attraverso una serie di modifiche che ne vanificheranno i principi ispiratori.

Se, al di là delle parole sulla pace, gli atti fossero coerenti, molte guerre con il loro tributo di vite umane potrebbero essere evitate, ma così non è né a Washington né a Roma.

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